venerdì 27 settembre 2019

Brani di Pavese

"Sempre, ma più che mai questa volta, ritrovarmi davanti e in mezzo alle mie colline mi sommuove nel profondo. Deve pensare che immagini primordiali come a dire l'albero, la casa, la vite, il sentiero, la sera, il pane, la frutta, ecc. mi si sono dischiuse in questi luoghi [...] e rivedere perciò questi alberi, viti, sentieri ecc. mi dà un senso di straordinaria potenza fantastica, come se mi nascesse ora, dentro, l'immagine assoluta di queste cose, come se fossi un bambino, ma un bambino che porta, in questa sua scoperta, una ricchezza di echi, di stati, di parole, di ritorni, di fantasia insomma, che è davvero smisurata! Non sono vissuto altri trent'anni per niente. [...] Ora, questo stato aurorale di verginità che mi godo, ha l'effetto di farmi soffrire perché so che il mio mestiere è di trasformare tutto in "poesia". Il che non è facile. La prima idea è stata che quanto ho scritto finora erano sciocche cose, tracciate secondo schemi allotrii [ndr. estranei, diversi, eterogenei], che non hanno nessun sapore dell'albero, della casa, della vite, del sentiero, ecc. come li conosco. Andando per la strada del salto nel vuoto, capisco appunto che ben altre parole, ben altri echi, ben altra fantasia sono necessari. Insomma ci vuole un mito. Ci vogliono miti, universali fantastici, per esprimere a fondo e indimenticabilmente quest'esperienza che è il mio posto nel mondo." (Lettera a Fernanda Pivano, del 27 giugno 1942)

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